Odio, Amore e Istinto Genitoriale
di Antonio Sammartino
20/12/2019
Perché Odio e Amore spesso coesistono, sia nelle relazioni sentimentali, sia nei rapporti figli genitori? Quali sono le motivazioni sociali e psicologiche che determinano questi conflitti? È incompatibilità di carattere o un’assenza di una adeguata educazione sentimentale dovuta ad una errata interpretazione del ruolo genitoriale?
Non vi sono più dubbi, il tutto si determina nei primi anni di vita, anche se le esperienze negli anni successivi, possono modificare questa predisposizione iniziale.
Secondo Bowlby sono le esperienze che il bambino vive con le sue figure di attaccamento, durante l’intero periodo che va dalla nascita fino al termine dell’adolescenza, che determinano il Sistema Comportamentale e il modello dei legami affettivi che il bambino sarà in grado di esprimere da adulto.
L’interpretazione dell’emozioni non deriva dalla consapevolezza dei propri sentimenti, ma dall’osservazione del comportamento emotivo delle altre persone, solo successivamente l’individuo sarà in grado di applicare a se stesso, ciò che ha appreso. Questo tipo di apprendimento è fondamentale per acquisire la capacità sia a fare previsioni corrette sugli stati affettivi dei nostri simili, sia ad aiutarci decidere come comportarsi con loro.
Esista una linea sottile fra odio e amore in quanto, sia l’odio che l’amore, attivano il medesimo circuito cerebrale, che comprende strutture situate nella corteccia e nella sub-corteccia cerebrale. Queste strutture sono considerate un’area di critica, nella previsione delle azioni degli altri, che si attivano specialmente quando ci si confronta con le persone che si disprezzano. Inoltre odio e amore coinvolgono anche le medesime aree del Putamen e dell’Insula, che si attivano quando si vedono i visi delle persone che si amano. Tuttavia, rispetto all’odio, quando si ama, si disattiva una parte maggiore dell’area della corteccia cerebrale che presiede al giudizio e al ragionamento.
Ciò spiega, sia l’esistenza di uno stretto legame fra amore e odio, sia il perché in amore le persone innamorate sono meno critiche nei confronti del loro partner, mentre in un contesto di odio l’individuo, per fare del male, è costretto a ragionare e a mantenere alta la concentrazione e quindi ad accentuare il suo senso critico.
L’individuo non vive mai interamente nel presente, perché spesso attinge al suo passato emotivo.
Quando si è innamorati si è convinti che l’altro possa donare quella forma di amore e di affetto di cui si ha bisogno, per cui si proiettano sull’altro i propri bisogni. Se questa proiezione prevale sul valore razionale dei sentimenti, la relazione si complica. Inoltre, per diverse persone, la solitudine può essere fonte di timore, paura che nei casi più estremi può manifestarsi sotto forma di ansia, di terrore, questo perché esiste sin dalla nascita, un profondo abisso fra l’essere soli e poter contare sulla presenza di una figura di attaccamento sicura, un partner ritenuto fidato. Ciò significa che il livello di suscettibilità al timore e alla paura sulla qualità dell’amore del proprio partner è condizionata dalla qualità e dalla presenza o assenza (nel senso della disponibilità) delle figure di attaccamento, sperimentate durante il periodo di sviluppo delle abilità cognitive e affettive, specialmente nei primi anni di vita.
La figura materna è stata erroneamente mitizzata, in nome di un presunto genetico istinto materno di protezione e cura, che culturalmente ha giustificato, discutibili eccessi. Nella realtà la base istintiva dell’individuo, anche se innata, in quanto dipende dall’azione dei geni, subisce nel corso degli anni, sostanziali variazioni, sulla base della cultura sociale e delle esperienze vissute. Questa influenza è molto accentuata nei primi anni di vita, mentre lentamente si attenua e con il trascorrere del tempo, diventa progressivamente meno responsiva ai cambiamenti. Infatti, nell’età adulta è molto difficile cambiare il proprio Sistema Comportamentale cioè, ciò che determina il temperamento e il carattere dell’individuo.
Una ulteriore interessante informazione, dedotta dalla sperimentazione, rivela che i bambini fino ad una età massima di sei mesi, non protestano per l’assenza della madre ed accettano volentieri persone sconosciute come sostituti materni, mentre dal settimo mese in poi dimostrano di non gradire questo cambiamento. Secondo Bower ciò accade perché ad una età inferiore di cinque mesi i bambini identificano un oggetto o una persona, solo in base alla permanenza spaziale e alla coerenza dei movimenti, tuttavia non sono ancora in grado di associare insieme queste due proprietà, inoltre non considerano altre caratteristiche, mentre dopo i cinque mesi diventano gradualmente significative anche le dimensioni, il colore, la forma, ecc., ma soprattutto il bambino diventa capace di riconoscere un oggetto o persona che ricompare dopo un certo intervallo di tempo e quindi inizia, anche se in modo maldestro, a cercarlo.
In altri termini, nei primi mesi, la memoria di richiamo del bambino non è in grado di evocare l’immagine di una persona assente, inoltre, l’angoscia da separazione, può presentarsi solo perché la maturazione dei processi mnestici, consente di anticipare la rappresentazione di possibili eventi futuri e la rappresentazione interna della madre, per cui il bambino, quando la madre non è presente, può evocarne il ricordo e paragonarlo con la sua assenza. È da questo confronto che ha origine il suo sentimento di solitudine, che spinge il bambino a ricercare la vicinanza della madre. In realtà, grazie alla memoria raramente siamo soli, specialmente nei primi mesi di vita, per cui il bambino è per un certo tempo con personaggi esterni e per il resto del tempo con personaggi evocati. Il bambino, attraverso questo processo, inizia ad apprendere a nutrire fiducia e a sentirsi sicuro nell’esplorare il mondo esterno. È possibile creare fiducia e sicurezza nell’esplorazione del mondo esterno, solo se esiste il ricordo di passate esperienze di esplorazioni, compiute dal sé con l’altro.
Anche la madre ha una sua storia personale, che influenza il modo in cui sperimenta soggettivamente l’interazione con il figlio. Questa interazione costituisce il ponte fra due mondi soggettivi, potenzialmente del tutto separati. La madre in questi incontri porta una sua storia, ha un modello operativo del suo bambino, della propria madre, del marito e di vari altri modelli.
La capacità di ricordare e riconoscere la madre si sviluppa prima di quella di qualsiasi altra persona o oggetto, non per un innato fattore biologico, ma in quanto il bambino ha con lei frequenti e intense interazioni, attraverso la vista, l’udito, l’odorato e il tatto. Per effetto di questa interazione, verso la fine del primo anno di vita, il modello della madre è già sufficientemente definito e accessibile al bambino, che inizia ad utilizzarlo, sia per riconoscere per confronto quando la madre è presente, sia per riconoscerla quando ritorna. Inoltre, l’attaccamento del bambino alla figura materna, si sviluppa durante il primo anno di vita, indipendentemente dalla persona che lo nutre. Ciò significa che è importante l’interazione fra il bambino e la figura di attaccamento, ma è anche fondamentale la capacità di quest’ultima di saper comprendere e soddisfare le sue esigenze, al fine di poter creare nel bambino, una base sicura su cui possa costruire i suoi legami affettivi.
Verso la fine del secondo anno di vita, se allevato con cura, un bambino diventa capace di rappresentazioni simboliche, di ricapitolare azioni del passato, anticipare azioni future e risolvere problemi con strumenti cognitivi. Queste conquiste, costituiscono la base su cui il bambino inizia a comprendere il linguaggio.
Secondo Robertson, il periodo più critico nello sviluppo dell’affettività è quello compreso fra i diciotto e i ventiquattro mesi, in quanto durante questo periodo, se il bambino viene allontanato dalla madre (cioè dalla figura di accudimento principale), è come se gli crollasse addosso il mondo, in quanto l’intenso bisogno della sua presenza, resta insoddisfatto. Occorre aggiungere che i bambini non possiedono il senso della morte, ma quello dell’assenza, per cui se l’unica persona in grado, secondo il bambino, di soddisfare i suoi bisogni è assente, è come se fosse morta. Tuttavia un bambino, anche se all’inizio rifiuta una nuova figura di attaccamento, con il trascorrere del tempo attenua il suo rifiuto e disagio ed inizia a stabilire con lei, una più serena relazione. Se la nuova figura di attaccamento, lo cura con affetto, il bambino lentamente crea con lei legami sempre più solidi ed inizia a considerarla come se fosse la vera madre (diventa cioè, la sua principale figura di attaccamento), mentre se la figura di attaccamento cambia di frequente, il sistema comportamentale del bambino diventa incline a stabilire da adulto, relazioni superficiali e di breve durata.
Durante il terzo anno di vita, con l’acquisizione della capacità di evocare la rappresentazione della figura di attaccamento, il bambino inizia a tollerare con maggior serenità la separazione dalla madre, a condizione che si trovi bene e in un ambiente che gli è familiare. Inoltre, il modello della madre assente, che il bambino si è costruito, deve rappresentarla come raggiungibile e disponibile.
E' la capacità di tollerare l’assenza della madre, dipende sia dall’acquisizione di un’abilità cognitiva, sia da come la madre si è comporta con il bambino.
L’inizio dello sviluppo cognitivo del bambino, segnala che il suo comportamento non dipende più esclusivamente dagli stimoli istintivi, ma viene anche pilotato da regole che gli consentono di integrare le informazioni percettive con quelli provenienti dalla memoria. L’effetto di questa nuova capacità è quella di fornire al bambino, anche se in forma molto rudimentale, il dono della previsione e della pianificazione.
Cosa significa saper comprendere e soddisfare le esigenze dei figli?
Significa innanzitutto non imporre le proprie convinzioni ed esigenze, ma soprattutto significa saper attendere le sue richieste, in quanto specialmente nei primi anni di vita, il bambino contrariamente a ciò che si crede, è in grado di regolare in modo adeguato le sue esigenze, sia alimentari che affettive. In altri termini, la madre deve offrire la sua presenza e la sua attenzione, quando il figlio lo richiede, evitando di attuare una eccessiva e precoce pressione, deve essere in grado di percepire i segnali del figlio e di rispondere in modo adeguato, se desidera che cresca in modo sano. Infatti, secondo Bowlby, i disturbi del comportamento derivano principalmente da insufficienti o eccessive cure materne, in quanto questi stili di comportamento, impediscono alla madre di recepire i segnali che provengono dal figlio, in quanto è sempre lei a prendere l’iniziativa e a voler essere vicina al figlio per monopolizzare la sua attenzione.
Solo quando il figlio, inizia ad andare a scuola, diventa opportuno contrastarlo con moderazione e dolcezza, specialmente quando manifesta discutibili comportamenti.
La sperimentazione ha consentito di rilevare che i bambini che non avevano subito una eccessiva presenza materna, sono caratterizzati dall’avere stili di comportamento sicuri. Inoltre se le madri erano state sollecite, nel prendersi cura dei loro bisogni quando questi piangevano, i bambini manifestavano in seguito, una minore predisposizione al pianto e ai capricci, rispetto a quelli che erano stati lasciati piangere nella culla.
I bambini maltrattati o con attaccamento ansioso-evitante, mostrano invece una maggiore propensione all’aggressività sia nei confronti dei coetanei, sia nei confronti delle figure di attaccamento; inoltre tendono ad isolarsi o a manifestare comportamenti a volte di evitamento e a volte di avvicinamento; inoltre tendono ad evitare gli adulti che potrebbero aiutarli.
Cosa significa essere madre disposta a rispettare le esigenze dei figli?
Una madre accomodante, che tiene conto del punto di vista e degli interessi del figlio, in genere viene più facilmente ascoltata dal figlio. Ad esempio, quando un bambino che è occupato in un gioco e gli si chiede di fare qualcosa e il bambino risponde che non può perché impegnato, se la madre gli dice: “fallo quando avrai finito”, il figlio quasi certamente lo farà; mentre se la madre gli dice: “ti ho detto di farlo subito!”, quasi certamente il figlio maturerà la propensione a non ascoltare.
Nel primo caso, la madre dimostra di essere disposta a concedere e rispettare le esigenze del figlio, mentre nel secondo caso di essere più incline alla punizione piuttosto che alla comprensione.
Ovviamente i comportamenti occasionali non creano mai problemi, ma quando diventano un rituale allora le cose cambiano radicalmente.
Un genitore che collabora, sostiene e incoraggia il figlio, gli dimostra che è importante, gli offre un modello positivo, gli trasmette il senso della fiducia e l’inclinazione a saper costruire le sue future relazioni, offrendogli strumenti che lo sollecitano ad esplorare e a promuovere il suo senso della competenza. La personalità che il bambino esprimerà da adulto sarà in grado di operare con moderato controllo e flessibilità, anche nelle situazioni di estrema difficoltà.