Ricordi Smarriti
di Antonio Sammartino
Non fuggivo dal passato, la mia era una scelta. Camminavo con passo lento, una valigia con alcuni indumenti, pochi ricordi e un pezzo di carta, credenziali per la mia libertà. Aver deciso di percorrere a piedi, nonostante il peso della valigia, i circa due km che separavano il luogo che lasciavo per sempre, dalla stazione ferroviaria. Desideravo guardare, per l’ultima volta quei luoghi in cui avevo vissuto. Sapevo che non sarei più ritornata.
Un viaggio verso un futuro ignoto inizia sempre nell’istante in cui sali su un treno con un biglietto di sola andata.
Rapita dai pensieri, salii su un vagone ed entrai nel primo scompartimento. Cercai di sollevare la valigia per sistemarla sul ripiano porta bagagli, ma non riuscivo. Troppo pesante per le mie modeste forze.
«Se vuole l’aiuto io».
Senza attendere la mia risposta, sollevò la valigia e la pose sul ripiano.
«Grazie», risposi con tono gentile.
Eravamo seduti entrambi vicino al finestrino, l’uno di fronte all’altro. Lui ritornò a leggere il giornale, mentre io mi abbandonai con gli occhi chiusi, cercando di immaginare il paesaggio che fuggiva via. Non era quello della realtà che volevo vedere, ma quello che i miei pensieri creavano.
«Biglietti prego».
La voce del controllore mi riportò alla realtà. Presi dalla borsetta il biglietto e lo consegnai nelle sue mani.
«Mi scusi signorina, questo biglietto è per la seconda classe, dovrebbe per cortesia, pagare la differenza o spostarsi in un altro vagone».
Non ebbi il tempo di riprendermi, che una voce richiamò l’attenzione del controllore. Era quella della persona che occupava il posto di fronte al mio.
«Deve esserci stato un errore alla biglietteria, avevo chiesto due biglietti per la prima classe, mi dica cosa le devo per integrare la differenza».
Bloccata, non riuscii a dire una parola.
Non so per quale motivo lo fece e perché, ma non dissi una parola. Avrei preferito non spendere altri soldi per il viaggio, ma non avevo voglia di spostarmi, tirandomi dietro la valigia.
Rimasti soli, presi dalla borsetta i soldi e dissi:
«Grazie per il suo gentile intervento, ero distratta e non ho fatto caso al tipo di vagone, ma non posso accettare e gli porsi i soldi».
Con un tono della voce, cordiale e persuasivo mi rispose:
«È stato un gesto istintivo. È la prima volta che mi accade e credo che abbia un significato particolare, anche se in questo istante non lo comprendo. Se dovesse accadere in futuro di incontrarci, se vuole potrà ricambiare la cortesia offrendomi un caffè e donarmi il piacere di un suo sorriso e trascorre qualche minuto in sua compagnia».
«Complimenti per il suo modo originale e gentile, anche se dispendioso, nel cercare di catturare il mio interesse. Purtroppo tra qualche ora il nostro casuale incontro si dissolverà nel nulla, perché scenderemo in stazioni diverse».
«Forse anche questo è un segno del destino. Il suo biglietto mi dice che scenderemo nella medesima stazione e forse avrà bisogno che qualcuno l’aiuti nel portare la valigia».
«Non mi dica che abitiamo nel medesimo palazzo o addirittura sullo stesso pianerottolo».
«No, purtroppo vivo in una casetta isolata, insieme ai miei genitori».
«E’ single per scelta o non ha ancora trovato la donna che possa sopportarla per un’intera esistenza?».
«E’ sempre così diretta, per usare un eufemismo».
«Non ricordo. Non faccio mai caso a ciò che dico, sono strana, imprevedibile».
«Che sia un po’ strana l’ho notato. Cerca sempre di rendersi antipatica o sono io che l’ha ispiro».
Il dialogo iniziava ad annoiarmi. Le sue parole inconcludenti e banali, per cui dissi:
«Il nostro sembra un dialogo tra due folli che forse è meglio interrompere. Vorrei riposare, le auguro buon viaggio».
Mi accade spesso di cambiare in modo rapido l’umore, ma in questa occasione, il compagno di viaggio si era dimostrato noioso.
La mia risposta non sembrò turbarlo, ritornò in modo naturale a leggere il giornale, mentre io chiudendo gli occhi ripresi a sognare.
A volte li aprivo e lo guardava per un istante. L’impressione che ebbi è che fossi diventata invisibile ai suoi occhi.
Trascorsero alcune ore di silenzio totale, rotto solo dal rumore del treno sulle rotaie.
A parte sguardi furtivi, durante gran parte del viaggio l'avevo ignorato, almeno così mi sembrò, fino a quando il treno non si fermò. In quell’istante i nostri sguardi si incrociarono. Fu un attimo e subito abbassai lo sguardo.
Furono sufficienti quei pochi attimi per scoprire che era un bell’uomo, elegante. Il suo sguardo invece fu di totale indifferenza, come se non fossi neppure presente. Indifferenza ma non rabbia o rancore per il mio comportamento.
Il treno riprese la sua corsa, nessun nuovo passeggero era salito. Eravamo ancora soli. Provai per un attimo vergogna, ero stata molto scortese con una persona che invece si era dimostrata molto gentile nei miei confronti.
«Non trova noioso viaggiare. Mi scusi se sono stata scortese nei suoi confronti. Sono particolarmente agitata, perché questo è un viaggio verso l’ignoto. A volte mi spaventa. Per la prima volta mi ritroverò sola in una città sconosciuta. Il mio futuro è fatto di solo incognite, alcune mi rendono nervosa e scontrosa. Mi scusi ancora».
Seguì una pausa di silenzio che mi diede l’impressione che non gli fregava nulla di quello che avevo detto. Poi, con un tono di voce che percepii diverso mi disse.
«La invidio, la mia invece è un’esistenza monotona, non accade mai nulla. So già cosa farò arrivati a destinazione e nei giorni che seguiranno. Qualcuno dice che sono fortunato, ho sempre avuto tutto dalla vita. I miei hanno programmato la mia esistenza fin dall’istante della nascita.
Il mio non vuole essere un rimprovero rivolto nei loro confronti, ma a me stesso, perché sono incapace di uscire dalla gabbia dorata in cui mi sono racchiuso».
Seguì una pausa e poi disse:
«Mi scusi, non voglio annoiarla, di nuovo».
«Ora non mi sta annoiando, anzi le sue parole contribuiscono a farmi apparire più interessante la mia assurda e imprevedibile esistenza».