Abuso e Risoluzione Traumatica
Generalmente un singolo evento traumatico tende a produrre risposte biologiche e comportamentali isolate tra loro. Ad esempio, l’abuso sessuale coinvolge prevalentemente la sfera sessuale, mentre i Traumi Evolutivi e i Traumi Accumulativi, quali ad esempio quelli associati al maltrattamento infantile (abbandono, incuria, violenza fisica, minacce, pratiche coercitive, abuso emotivo, ecc.), interferiscono sulla globalità dello sviluppo neurobiologico del bambino, alterando la sua capacità di integrare, in un insieme coerente, le informazioni sensoriali, emotive e cognitive. I Traumi Evolutivi alterano l’attribuzione di significato alla realtà, che può essere osservata a livello comportamentale, cognitivo, somatico, affettivo e relazionale. Incidono profondamente sulle attese e le esperienze della vita, determinando una vulnerabilità di base che compromette la capacità della persona nel superare gli eventi potenzialmente traumatici.
La persona che ha subito un abuso, da una parte percepisce tristezza e disperazione, dall’altra rabbia, desiderio di vendetta e depressione, il tutto influenzato dalla paura che condiziona le sue azioni e la rende guardinga nei confronti degli altri, al fine di poter individuare il senso nascosto delle parole e delle azioni.
Nell’esperienza della violenza vi è anche l’umiliazione, che priva la persona del coraggio e del rispetto per se stessa e la sostituisce con un qualcosa che genera la sensazione dell’essere impaurita e senza valore. La manipolazione subita rende caotica la sua organizzazione mentale, modifica il suo sistema dei significati, distrugge gli intimi convincimenti, crea smarrimento e priva la persona della gioia e della speranza. Si determina così una ferita che molto spesso resta nascosta agli altri, a volte anche alla stessa persona. Infatti, spesso l’evento traumatico in sé viene espulso dalla coscienza, diventa invisibile, ma perdurano gli effetti deleteri che possono trasformarsi in sintomi fisici, in comportamenti o in atteggiamenti che la persona non è in grado di controllare. Il dolore si trasforma, si disgrega in piccoli nuclei di esperienza, apparentemente scollegati l’uno dall’altro, si nascondono in PARTI del corpo e della psiche ed emergono sotto forma di SINTOMI.
Tutti gli eventi rilevanti vengono registrati e catalogati nel sistema della memoria, gli viene appiccicata un’etichetta alla quale viene associata un’emozione (piacevole o sgradevole) con un valore di intensità emotiva. Se l’effetto della traccia mnestica supera la capacità della persona di contenerla, perché la ferita del trauma è enorme, interviene un processo psicobiologico che cancella una parte dell’evento, mentre rende invisibile alla coscienza la parte che resta, sotto forma di frammenti d’immagini e sensazioni apparentemente sconnesse tra loro. Tuttavia gli effetti del trauma possono ancora manifestarsi a livello della coscienza, in un linguaggio incomprensibile, ricontestualizzando la ferita originaria, quando la persona percepisce un qualcosa che a livello simbolico si collega alla parte sepolta nella memoria. Questo processo nega alla persona la possibilità di una fedele narrazione dell’evento. Tuttavia, quando il ricordo viene rivissuto nella sua drammaticità, la persona può rielaborarlo e quindi ricollegarlo nel sistema della memoria.
Durante il processo terapeutico non è importante la narrazione originaria, perché in parte non è stata memorizzata e in parte è stata alterata dalle successive esperienze, ma è fondamentale ciò che la persona è in grado di rievocare, l’aspetto emotivo dei vissuti e le reazioni all’episodio subito, in un contesto in cui vi sia un ascolto empatico e compassionevole, in grado di interrompere l’isolamento e l’umiliazione indotta dalla violenza subita, favorendo il processo di riformulazione e cancellazione. Attraverso l’ascolto empatico, la persona che narra, rispecchiandosi attraverso i pensieri e le emozioni dell’altro, può guardarsi dentro di sé (in modo simile all’immagine che si riflette in uno specchio) integrando nella sua coscienza emozioni e pensieri, dandogli così un senso. Attraverso questa riformulazione del significato dell’esperienza traumatica vissuta, la psiche della persona si ricostruisce, trasformando la memoria dell’evento traumatico da crudele persecutore che riproduce la scena dell’abuso, in un amico che non custodisce più un penoso segreto, ma fornisce la forza per contrastarlo.
Quando una persona rivela per la prima volta un’esperienza traumatica, vive un cambiamento. Durante la narrazione le persone cambiano lo stile dell’eloquio e parlano velocemente quando l’argomento del racconto è traumatico, ma rimossi gli argini inibitori, le parole si riversano con impeto, mentre scrivono in modo rapido quando rivelano un trauma, rispetto a quando descrivono episodi privi d’importanza. Inoltre cambia anche la grafia. Un altro aspetto interessante accade quando le persone parlano o scrivono esperienze traumatiche, spesso in modo inconsapevole due argomenti in conflitto tra loro si attivano a vicenda. Quando viene rivelato un qualcosa, dopo poco si presenta anche il suo opposto; ad esempio, amo mia madre, ma dopo un po’ affermano mia madre mi trascurava.
Quando le esperienze si trasformano in ricordi, nell’ippocampo avviene il “potenziamento a lungo termine”, per cui le connessioni tra i neuroni diventano temporaneamente più forti in seguito a una decisa stimolazione. I ricordi più recenti sono elaborati dall’ippocampo, mentre secondo uno studio la regione del cervello che recupera e conserva i ricordi più remoti sarebbe il cingolato anteriore. Si ritiene che i ricordi emotivamente più coinvolgenti siano memorizzati meglio, perché coinvolgono strutture cerebrali diverse da quelle che immagazzinano i ricordi normali. L’amigdala interagisce con le regioni cerebrali collegate alla memoria durante la formazione dei ricordi più coinvolgenti emotivamente, forse per garantire una maggiore indelebilità. Può succedere che il cervello associ erroneamente un nome a un volto o lo riconosca, ma non riesca ad associargli un nome. La causa va ricercata sia negli strati più profondi dell’inconscio sia nelle difficoltà connesse all’uso del linguaggio e al funzionamento delle diverse aree del cervello in generale.
Superare il dolore associato al trauma, è possibile, occorre avere il coraggio di superare la vergogna, la paura, la solitudine, il senso di colpa e chiedere aiuto oggi, senza rimandare continuamente al domani. Chi ha vissuto un’esperienza traumatica cerca di rimuoverla, evita di pensarci, ma per guarire occorre innanzitutto rievocare ciò che si cerca di dimenticare. Il modo più semplice consiste nello scrivere per alcuni giorni (dai 15 ai 30 minuti) un racconto sulle proprie esperienze traumatiche, perché nel tradurre l’esperienza in parole, si ha la possibilità di esplorare il significato emotivo dell’evento e si da un senso ai ricordi. Nel raccontare l’esperienza, gli elementi inutili della narrazione scompaiono, restano solo quelli più importanti. Questa elaborazione cognitiva consente di inserire gli eventi nella storia personale, consentendo così ai pensieri di connettersi con le emozioni.