Viaggio nel Passato
di Antonio Sammartino
Un attimo di silenzio, pochi passi e un semplice click su uno strano oggetto sollecita pigri ricordi e lo spazio intorno si riempie di musica che ci avvolge e come per incanto inizia a disegnare paesaggi. Un bosco, alberi, cespugli, fiori, un sentiero creato dal frequente passaggio di amanti in cerca di solitudine, un grande spazio, un prato verde, l'aria ristoratrice di quella che da sempre era la nostra collina nel bosco, l'amabile canto degli uccelli, i fiori variopinti intorno contribuivano a creare il nostro paradiso di sogni infantili e… NOI DUE BAMBINI.
Il vivere istanti in quel paesaggio particolarmente coinvolgente, con quel lontano e quasi impercettibile rumore di cascate scroscianti, il tutto creava oziosi entusiasmi di sentimenti lirici e di languori poetici.
Lei si avvicina a lui e inizia uno strano rituale, con tocchi sensuali d’innocente pudore, gli toglie tutti gli indumenti, tranne quella buffa canottiera e quella poco sensuale mutandina, poi lentamente anche lei si spoglia mostrando fianchi di un’imminente adolescente, quel minuscolo seno acerbo appena accennato, ma turgido e grazioso, il suo sguardo dolcissimo disegnava la serenità di un sorriso, il suo desiderio, la generosità delle sue lacrime. Era ormai giunto quell’importante giorno della vita in cui i capelli fino allora raccolti in due dorate treccine, come si conviene all'età infantile, si sciolsero e un improvviso quanto insolito alito di vento li adagiò sul viso e con una dolce carezza fece aderire le lisce ciocche a quell’angelico viso, mentre lei guardandolo negli occhi, gli tolse quella buffa canottiera.
I loro corpi, ormai coperti solo da quell’unico indumento simbolo dell’innocente pudore, in silenzio si stringono l’uno all’altro, per un tempo quasi eterno, creando quell’atmosfera in cui il silenzio aiuta a vestire di parole le emozioni e i sentimenti.
Era una bambina che si stava comportando come una femmina proibita, per apparire irresistibile ai suoi innocenti occhi di bambino, sorpreso da quella che fu un’insolita e improvvisa rappresentazione. Anche se non comprendevano cosa stava accadendo, quella scena li aveva per pochi attimi trasformati in adulti, in un uomo e in una donna. Lei fu molto brava e sensibile nel comunicare ciò che l’altro già sapeva, dovevamo separarsi non per scelta o volontà, ma lei doveva trasferirsi con la famiglia in un’altra città e non si sarebbero più rivisti.
Lui la guardava, cercando di leggere i suoi pensieri e mentre pensa, lei finalmente inizia a parlare: questo è il nostro ultimo incontro, ieri sera il mio papà mi ha detto che partiremo per un paesino lontano e non ritorneremo più. Ho pianto tutta la notte, erano lacrime tristi che scorrevano sul viso fino a giungere sulle mie labbra per suggerirmi le parole che dovevo dirti, ma sono troppo piccola per usarle, ma non volevo andare via senza lasciarti qualcosa di me che fosse per sempre solo tuo, il mio corpo. Gli altri potranno vederlo, toccare, perché è il destino che decide per noi, ma non riusciranno mai a possederlo. Il mio corpo ti appartiene come il mio piccolo cuoricino, è tuo per sempre, così come il mio amore per te. Le mie non sono parole suggerite dalla bambina che sono, ma della donna che sarò in tutti i miei domani, fino a quando l’ultimo respiro non mi abbandonerà. Non chiedermi come, sono troppo piccola perché usi certe parole, ma anche dopo sarò per sempre tua. Quell’abbraccio non era un banale dono, ma una promessa indissolubile, che nessun avrebbe più avuto, il suo corpo.
A volte la mente, sotto la spinta di eventi imprevedibili è crudeli, ci ruba tutti i ricordi più belli, lasciando vivere solo quelli che donano sofferenza, dolore, disperazione, angoscia, ma per una volta ha voluto violare le crudeli regole di una memoria sgretolata, ha lottato contro il fato, per donare per pochi istanti i ricordi più travolgenti e il volto sbiadito di una bambina che sorrideva e si faceva rincorrere e se tardavo si fermava ad attendermi, LEI e le ore che avevamo trascorso insieme non era un racconto coerente, ma singoli episodi apparentemente disgiunti, vi erano grandi dettagli e molti elementi in grado di suscitare incomprensibili emozioni. Se vuole la memoria sa essere molto crudele, ma a volte ci restituisce istanti di gioia e di incredibile realtà, per poi avvolgerti nel buio dell’oblio.
Non so quando tempo navigai fra i miei pensieri alla ricerca di un ricordo o una fantasia e nel raccontare la storia che emergeva, lei mi ascoltava in silenzio, mentre a volte timide lacrime di gioia tradivano le sue emozioni. Fu un istante ed i pensieri si fermarono, riportandoci di colpo alla realtà. Responsabile fu la fine di quella dolce melodia che era riuscita per un istante a risvegliare pigri ricordi di un passato che voleva ritornare, ma che non riusciva a trovare la strada per raggiungermi.
Restammo in silenzio, non so per quanto tempo, poi con un filo di voce le dissi: ora devo andare e mentre mi stavo alzando, la sua voce si impossesso del silenzio per dirmi che domani doveva andare dalla madre. Mi disse: ci vado ogni fine settimana per trascorre un po’ del tempo con mia figlia, sarei molto felice poterci andare con te, se non hai impegni. Risposi di si, mi scrivi su un foglio l’ora e il luogo. Se vuoi puoi restare a dormire qui da me nella camera degli ospiti così domani mattina possiamo partire subito dopo colazione. Risposi di si, non vorrei domani non ricordarmi dell’impegno preso.
La notte, complice del mio inconsapevole desiderio, trascorse in fretta e ci ritrovammo, prima del previsto, insieme in auto in viaggio verso la nostra meta. Arrivati a destinazione lei arrestò l’auto all’inizio di un viottolo in cui una stretta stradina di sassolini separava i due lati di un prato ben curato, con cespugli di fiori disseminati sull’ampio prato.
Da lontano una piccola sagoma iniziò a correre verso di noi, per trasformarsi poi ai miei occhi nel correre felice di una bambina che gridava: “papà, papà lo sapevo che saresti ritornato, nonna corri è arrivato papà”.
Le grida di gioia di quella bambina sconosciuta alla mia memoria, erano dolce melodie che furono troppo presto interrotte dalle parole di lei che mi disse: “ti prego assecondala, poi ti spiego”.
Nel correre rapita dalla sua felicità, inciampò in un sasso e cadde, si rialzò incurante del dolore causato dalla ferita e poi il suo volo nelle mie braccia, sorprese da quell’improvviso volo di bambina si aprirono per accoglierla e stringerla forte, in un incomprensibile turbamento per la ragione, ma indispensabile per le emozioni che procurava. Pensavo forse è il desiderio di poter stringere una figlia che non avevo, il sentirmi chiamare papà, l’entusiasmo di una bambina che tradiva quel suo grande bisogno di riabbracciare suo padre? In quell’istante pensai che vi sono momenti in cui le emozioni possono sostituirsi ai ricordi per riempire quel vuoto che alberga dentro di noi, felice come raramente ero stato in passato, pochi e sconclusionati ricordi mi rammentavano, si ero felice nella mia illusione di essere chiamato papà, piacevolmente turbato da quell’innocente e intenso abbraccio di una bambina felice, una felicità che la mia sgangherata memoria non ricordava di aver mai vissuto. Il volto di lei segnato da una timida lacrima turbata, ma felice nel percepire la gioia della sua bambina e mi ritornò nella mente quella dolce melodia che in particolari occasioni, apparentemente immotivate, invadano la mia mente.