Nell’antichità le malattie mentali erano sconosciute. Tuttavia sembra che dall’inizio del neolitico i nostri progenitori fossero in grado di riconoscere i disturbi di tipo psichico. Li consideravano la manifestazione di forze esterne alla persona, come le divinità. In seguito, le persone affette da un qualsiasi disagio psichico, venivano considerate pazze.
Nell’antichità diversi erano i metodi usati per curare gli ammalati, dalla trapanazione alle purghe, fino ai rituali religiosi.
Secondo un’antica credenza popolare, la follia era provocata da una serie di pietre conficcate nella testa che un medico, con una semplice operazione, poteva estrarre. Il chirurgo ritratto da Bosch, indossa una lunga veste con sulla testa un imbuto, mentre una donna che osserva la scena appoggiata ad un tavolo, regge con il capo un libro. L’imbuto e il libro, attributi tipici della sapienza utilizzati in maniera impropria, diventano nella visione di Bosch motivi di derisione della pratica medica che solo la stoltezza degli individui può ritenere capace della guarigione dalla follia.
LA TRAPANAZIONE veniva usata per trattare qualsiasi tipo di disturbo mentale, dall’epilessia alla malinconia. L’intento era di liberare il paziente dagli spiriti maligni che lo tormentavano. A volte il pezzo di cranio asportato veniva dato al malato o alla sua famiglia, come talismano. Veniva eseguita con un coltello di pietra. Si tagliava una porzione rotonda del cranio, che poi veniva asportata oppure si praticavano tanti piccoli fori accostati, fino a formare un cerchio, quindi era sufficiente eseguire un taglio tra un foro e l’altro, per aprire la calotta cranica, senza danneggiare la membrana che protegge il cervello.
Questa pratica fu usata fino al 18° secolo. Fu abbandonata per l’alto tasso di mortalità dei pazienti.